Salve Piergiorgio e
bentornato sul mio blog . E’ sempre un piacere ospitarti e chiacchierare sulle
tue nuove uscite letterarie. Questa volta “abbandoni” l’hard-boiled/noir per
dedicarti a un thriller psicologico: L’appuntamento. Cosa cambia dal punto di
vista narrativo dal noir puro al thriller psicologico?
PP. Ammetto
che è una bella sfida cambiare il taglio del romanzo e in qualche modo il
genere rispetto alla produzione precedente. “L’appuntamento” rimane comunque un
noir, ma è atipico: è più sul modello de “I diabolici” che sul classico
poliziesco con poliziotti, detective, etc. Qui troviamo soltanto un uomo e una
donna seduti al tavolo di un ristorante che iniziano a parlare, e presto
capiamo che la donna è come se stesse giocando a poker col diavolo: quel tavolo
non diventa altro che una prigione da cui la donna non può uscire… l’aspetto
psicologico è molto forte. Così come la violenza: siamo abituati e forse
assuefatti a una violenza fisica, più materiale che vediamo e leggiamo
quotidianamente, tanto che oramai spesso rimaniamo anche indifferenti. La
violenza psicologica, invece, proprio perché più sottile e rara, ci angoscia
molto di più, perché tutti in qualche modo abbiamo subito del “terrorismo
psicologico” a lavoro, a scuola, nella famiglia stessa a volte, quindi sappiamo
quanto alcune parole possano far male e lasciare cicatrici sull’anima. Il
villain del romanzo è un maestro in questo: è la classica persona sbagliata che
nessuno vorrebbe incontrare; un sadico manipolatore ossessionato dal controllo e
dall’esercizio del potere. Però, come tutti i cattivi, pecca di presunzione. E
questo tallone d’Achille regalerà delle sorprese ai lettori…
Ci avevi abituati a
frequenti scene d’azione con Biagio e i suoi amici/nemici. Quanto è stato
difficile far sedere attorno a un tavolo i tuoi protagonisti?
PP. Meno
di quanto immagini, a dire il vero. Sono sempre stato un grande amante dei
dialoghi alla Elmore Leonard ed Ed
McBain, per capirci, e spesso cerco di esercitarmi nel migliorare i miei
dialoghi creando qualche personaggio e iniziando a farlo parlare, più per un
esercizio che altro… L’appuntamento è iniziato così: avevo due personaggi, un
uomo e una donna, il tavolo di un ristorante e basta. Quando però ho iniziato a
farli parlare, mi sono reso conto che avevano tanto da dire e che
quell’incontro non era normale, ma aveva qualcosa di sbagliato e oscuro, così
mi sono lasciato trasportare dai loro segreti e dai loro lati più intimi e bui.
Sentivo l’esigenza inoltre di staccare per un po’ dalla Giungla di Mazzeo e dedicarmi
ad altro per lavorare sul mio stile e su una sfaccettatura diversa del noir in
modo tale che quando tornerò a raccontare di Biagio (autunno 2015) possa
arrivare più preparato all’appuntamento, perdona il gioco di parole.
Come è nata l’esigenza
di raccontare questa storia?
PP. Ripeto,
dal mio amore per i dialoghi senz’altro, ma anche per la grande passione per il
teatro e le opere teatrali di stampo classico e moderno. In realtà il romanzo
avendo praticamente due soli set scenografici e due personaggi, ha un taglio
fortemente teatrale. L’intento era quello di portare i lettori in quel
ristorante, seduti a un tavolo vicino a quello dei due protagonisti; volevo
risvegliare il lato voyeuristico dei lettori trasformandoli in spettatori e
ascoltatori di quella strana notte. Solo che come sai, a volte le cose che
ascoltiamo ci angosciano e ci cambiano, e quando vorremmo alzarci e andarcene,
beh, è già troppo tardi…
Il protagonista è un
sadico manipolatore, simile per alcuni versi a Frank Underwood di House of Cards.
Quanto ti affascina la creazione di personaggi negativi?
PP. Penso
che un buon cattivo garantisca almeno il 60% della riuscita di un’opera di
intrattenimento, che sia un romanzo, un film/serie tv o un videogioco. Il
cattivo in qualche modo deve essere la nemesi del protagonista ma allo stesso
tempo deve essergli complementare. La volontà e la trasformazione del
protagonista si plasma sulle reazioni che il villain lo costringe a prendere.
Se il cattivo non ha spessore, nemmeno la storia ne avrà. Per questo, cerco sempre di studiare bene gli
antagonisti, sia come Sergej Ivankov in una Brutta Storia, che “l’innominato”
de L’appuntamento.
L’appuntamento analizza
i rapporti sociali nell’era di internet e della facilità di indossare delle
maschere. Quanto è diventato semplice essere qualcuno che non si è?
PP. In
realtà penso che in qualche modo sia talmente connaturato in noi e nella nostra
società sempre più virtuale che lo facciamo senza nemmeno rendercene conto. Voglio
dire, tutti noi abbiamo un’identità virtuale e una reale, e ognuno di noi ha
consapevolezza di dove finisce una e di dove inizia l’altra. In realtà, però,
se qualcuno ci guarda attraverso la lente dei social queste due identità
vengono percepite come una soltanto, il che è di sicuro affascinante, ma al
tempo stesso molto pericoloso.
Quanto della nostra
vita è presente sul web?
PP. Più
di quanto possiamo pensare, e ho paura che sarà sempre più così. Con gli
smartphone, poi, la cosa cresce a livello esponenziale. Tutto ciò ha dei pregi,
ma anche dei grossissimi difetti, di cui parlo con dovizia nel romanzo,
soprattutto a livello di sicurezza e violazione della privacy.
“Siamo liberi di
scegliere, ma non siamo liberi dalle conseguenze delle nostre scelte” questa
bellissima frase rappresenta il perno su cui ruota il tuo romanzo. Qual è stata
la tua scelta di cui sei più fiero?
PP. Credo
quella di aver impostato la mia vita a favore del perseguimento del mio sogno
di diventare un professionista nel campo della scrittura. Cosa che ha
comportato – e comporta – tanti sacrifici, tanto lavoro, e ti succhia via tante
energie. Però credo che la costanza, la determinazione, e il duro lavoro alla
fine paghino, e in questo sono sempre stato molto esigente e sincero con me
stesso. Ci vuole molta disciplina e parecchia follia. La disciplina e la
professionalità cerco di impararla dal mio maestro, Massimo Carlotto, la
follia, invece, è connaturata in me.
Chiuderei con una
domanda ironica. Quanto pensi cambieranno i tuoi appuntamenti dopo che i tuoi
amici avranno letto questo romanzo?
PP. Forse
non avrò più amici, quindi non mi dovrò nemmeno porre il problema : ) A parte
gli scherzi, io alla fine scrivo per intrattenere i lettori, farli evadere. Se
al tempo stesso si riesce a parlare di temi scottanti e far nascere dentro di
loro delle domande scomode, perché no? Mi piacerebbe avere anche delle risposte
a quelle domande, ma come autori non è ciò che dobbiamo fare: noi solleviamo le
domande, poi penso che da sempre nella letteratura sia compito di ogni lettore
guardarsi dentro e darsi delle risposte.
Grazie mille
Piergiorgio per questa “intervista”. A presto per i tuoi prossimi romanzi.
Grazie mille a te, ci
rivedremo senz’altro a Marzo 2015. Un grande abbraccio a tutti i tuoi lettori.
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