Con grande piacere oggi inauguro il blogtour dedicato al romanzo L'undicesima ora di Giovanni Ricciardi, edito da Fazi Editore nella collana Darkside.
Si tratta dell'ottava avventura del commissario Ottavio Ponzetti, ormai personaggio feticcio di Ricciardi. In questa nuova avventura dovrà indagare sulla morte di un noto architetto.
SINOSSI
Il corpo senza vita di un noto architetto romano viene ritrovato nel suo loft una settimana dopo il decesso. L’autopsia non ha ancora dato risposte certe sulle cause, ma sembra escludere l’ipotesi della morte violenta. Quasi contemporaneamente, una villetta dove l’architetto abitava fino a poco tempo prima viene distrutta da un incendio doloso. I due eventi sono in relazione tra loro? Qualcuno voleva la morte dell’uomo? Il commissario Ottavio Ponzetti – giunto alla sua ottava avventura – non sa opporre resistenza alla seduzione delle coincidenze e si appassiona al caso nonostante non sia di sua diretta competenza. Oltre al fidato ispettore Iannotta, Ponzetti coinvolge nell’inchiesta amici e parenti, mettendosi insieme a loro sulle tracce di una misteriosa donna spagnola e incrociando, nel corso dell’indagine, la biografia e le opere di importanti personaggi del Novecento, tra cui l’architetto Antoni Gaudí: proprio a Barcellona – come già era avvenuto nelle ultime indagini, che lo avevano portato prima in Sicilia, poi addirittura in Patagonia – il commissario trascorrerà una movimentata e intrigante vacanza di lavoro. Ma le strade battute da Ponzetti tornano sempre a Roma, dove le numerose ipotesi, i dubbi e le incertezze svaniscono portando alla luce una sola, sorprendente verità.
ESTRATTO
Il mio ispettore di fiducia arrivò col
pensiero già formato. Che si trattasse cioè di quello che poi
sarebbe stato: una faccenda ingarbugliata in cui non c’entriamo
nulla, ma ci finiamo con tutte le scarpe.
«Che idea ti sei fatto di questo caso?»,
chiesi al commissario Celiboni.
«Innanzitutto, non è un caso, ma uno
scrupolo».
«E cominciamo bene!», fece Iannotta sbuffando
e sprofondando in un pouf anni Settanta, stile Fantozzi.
«Non c’è un’indagine ufficialmente
aperta. Ma puzza di bruciato, questo sì».
«Infatti io... me pareva de senti’ ’n
odore strano da quarche parte...», fece Mario.
«L’architetto non era persona sconosciuta»,
riprese Celiboni. «Certo, non famoso come un Fuksas o un Calatrava,
ma otteneva commesse importanti, specie da privati facoltosi.
Ristrutturazioni di ville, progetti di locali alla moda in centro.
Molto legato a Roma, anche se non esclusivamente. Insomma, un
personaggio che era facile incontrare nei salotti bene, che anzi
veniva invitato perché faceva un po’ tendenza. Mi segui,
Ottavio?».
«Ti sei messo a studiare, vedo».
«Lasciami finire...».
Iannotta già friggeva. Non voleva
interrompere, ma si muoveva con occhi nervosi, cercando inutilmente
di attirare la nostra attenzione, e si era già alzato da quel pouf
troppo scomodo per i suoi gusti.
«...Il fatto è che l’uomo è stato sepolto
in tutta fretta, senza che potessimo controllare niente».
«In una bara disegnata da lui stesso,
immagino. Con funerale al Circolo del Libero Pensiero».
«Er caffè se brucia, dotto’!».
«Come hai fatto a capirlo, Ottavio?».
«Er caffè!!! Sta pe’ usci’ de fori!».
«E tu spegnilo, invece di lamentarti!».
«Je pare facile, commissa’? ’Sta cucina
pare ’n’astronave, co’ mille pulsanti, ’sti fornelli senza
foco che fanno luce come ’n lampadario: io nun ce capisco gnente».
«Devi spingere il pulsante rosso, quello
grande, Mario. Lo vedi?».
«Ma qua è tutto rosso! ’Ste piastre fumano,
mo’ si ce casca er caffè sopra ce famo le frittelle de caffè!».
«Quanto la fai lunga...». Celiboni si alzò e
spense in un batter d’occhio. «Ecco, vedi? Era facile».
Sistemammo le tazzine come potemmo, su un
tavolino di vetro di dimensioni minime, col timore che si mettesse a
parlare, come Siri negli iPhone: ogni angolo di quella cucina era un
mistero tecnologico. Alla fine Mario si placò e si mise a
sorseggiare il suo caffè in relativa tranquillità.
Celiboni riprese il discorso: «Vedi questa
busta marroncina? È il caffè di Foroni. Qui di fronte, in via
Britannia, una delle più antiche torrefazioni di Roma. Se ci entri,
puoi vedere la macchina che tosta i chicchi ancora verdi, un gioiello
del primo Novecento che ancora si alimenta a legna. Naturalmente
costa di più di un Lavazza qualunque».
«Embè?».
«Da qualche parte dovevo cominciare. Era per
dire il carattere del personaggio. Me lo hai insegnato tu, che dai
dettagli si possono intuire molte cose...».
«Sì, ma così non andiamo da nessuna parte.
C’è dello zucchero in questa cucina o qualche ritrovato orientale
sostitutivo?».
«C’ho le bustine de canna ne la giacca,
dotto’. Je le porto a mi fijo che je piace magnasselo a garganella
o sciojelo nell’acqua».
«Beve acqua e zucchero, tuo figlio?».
«Embè?».
«A ciascuno il suo», commentò Celiboni. E
poi aggiunse: «Io posso darvi delle notizie, e in parte ve le ho già
date. Ma sono confuso. Tu, Ottavio, hai la testa chiara. Interrogami
e ti risponderò. Così forse ci aiutiamo a capire se val la pena
spendere del tempo in questa storia o lasciarla morta e sepolta».
«Quando si è confusi occorre partire dal
punto più immediatamente prossimo. L’architetto dunque è morto in
questa casa?».
«Sì».
«Quanti giorni dopo il decesso è stato
trovato dai vigili del fuoco?».
«Circa una settimana. Sono entrati con quel
loro sistema del foglio, che non so come fanno, ma mi fa sempre
pensare all’inutilità di qualunque serratura. Si è resa
necessaria una bonifica dell’appartamento. Nessuno si era accorto
di nulla. E non è stato facile risalire alla ex moglie. Come lei,
anche i figli risultavano irreperibili».
«E perché?».
«Da parecchio tempo non hanno rapporti con
lui. Una figlia vive negli Stati Uniti, anche lei architetto. Un
figlio in Canada, Toronto, cardiochirurgo di chiara fama. La ex
moglie, insegnante di Lettere in pensione, abita in Portogallo, ha un
compagno e si è ritirata in una di queste “colonie per italiani”
sull’oceano che esistono da quando il governo di Lisbona ha
defiscalizzato le entrate degli europei che decidono di trascorrere
lì la vecchiaia».
«L’autopsia?».
«È stata disposta, naturalmente, come avviene
in questi casi, ma non è stato possibile accertare con chiarezza le
cause della morte. Per avere risposte occorre aspettare i referti dei
prelievi di tessuto, che arriveranno in trenta, sessanta giorni.
Quello che sembra certo è che l’architetto sarebbe morto per cause
naturali. Hanno escluso l’omicidio, insomma».
«E allora», fece Iannotta, «che c’ha
chiamato a fa’? A pia’ un caffè a casa der morto? Tra un po’
tiramo fori le carte e ce famo pure un tresette. In tre, appunto
cor...».
«Mario, un po’ di rispetto. D’accordo:
l’autopsia incerta, la sepoltura frettolosa, ci sta tutto. Ma i
medici hanno stabilito con esattezza almeno la data della morte?».
«Come ti ho detto, non con precisione
assoluta, ma giorno più, giorno meno, coincide con l’altro fatto:
con l’incendio della casa in cui viveva, non lontano da qui, a via
Statilia. E quello, pare sia stato doloso. Fra l’altro nel fuoco è
bruciato tutto: documenti, lettere, libri, che so io? Le uniche cose
che si sono salvate sono il suo portafoglio, che aveva addosso qui
quando è morto, con i documenti, e questo computer che aveva con sé,
e che però contiene molto poco, quasi nulla. Non doveva essere
quello su cui lavorava abitualmente. Nella casa che è andata a
fuoco, ne aveva uno con uno schermo enorme, di quelli che usano gli
architetti per progettare».
«Be’, giorno più, giorno meno... questo
potrebbe essere un dettaglio importante. Però non possiamo essere
certi che i due fatti siano connessi tra loro».
«Sì, però un’inchiesta sul fatto doloso
dell’incendio è stata già aperta».
«Hai visto la casa bruciata?».
«Solo da fuori, e ho letto il resoconto dei
vigili. Ora è transennata».
«E la moglie? Ci hai parlato?».
«Sì. È qui a Roma da qualche giorno, per il
funerale».
«Ma nun era la ex moje?», osservò Mario.
«No, caro mio», rispose Celiboni, «erano
solo separati. Non avevano mai fatto le carte del divorzio. Eredita
lei la metà, e l’altra sarà divisa tra i due figli».
«Che però forse non ne hanno un gran bisogno.
Sono affermati, hanno la loro vita. Lei, invece, se vive di pensione
in Portogallo, non deve passarsela molto bene».
«Vivrebbe lo stesso, anche senza eredità. È
una donna che ha passato i sessanta, ancora magra e bella per la sua
età, ma molto trascurata, con quei vestitini alla Holly Hobbie,
pieni di fiori, grandi cappelli, un cagnolino iperattivo: molto
“bio”, diciamo».
«Ho capito. A parte questo, che impressione ti
ha fatto?».
«Disillusa, spaesata, confusa. Del marito
praticamente non sa nulla. Mi ha chiesto aiuto anche per capire dove
potessero essere le sue carte, gli assegni, il conto in banca. Su
questo non sa raccapezzarsi, e non ha nessuno a cui domandare. Le ho
permesso di cambiare la serratura di questa casa, ma ha timore a
entrarci, vorrebbe affidare tutto a un avvocato: fare la successione,
vendere e andarsene. Il marito era praticamente un estraneo per lei.
Non mi è parsa affranta, piuttosto sconcertata e immersa in una
complicazione più grande di lei».
«Sapeva dell’esistenza di questo
appartamento?».
«No. Ma quando gliene ho parlato non si è
meravigliata. Ha detto: “Deve aver comprato la casa del
professore”».
«Quale professore?».
«Veramente non ho insistito. Comunque, appena
ha potuto, ha fatto cambiare le chiavi e mi ha chiesto di venire qui
a controllare se era tutto a posto, perché sente ribrezzo a
entrarci. Lo capisco. Anche a me avrebbe fatto lo stesso effetto».
«E tu hai già fatto un giro qua dentro?».
«Be’, mi sembra una casa normale, ben
ristrutturata, molto asettica. In cucina solo tè e caffè, in camera
da letto qualche cambio. Una casa poco vissuta, come del resto i
vicini hanno confermato».
«In
pratica era ‘na garzoniera»,
fece Iannotta, che intanto leggeva e rileggeva i due fogli che avevo
stampato.
«Che cosa hai detto, Mario?».
«Uno de’ quei posti pe’ portacce le
ragazze senza fasse nota’... ma, dico, ’sto architetto un nome
nun ce l’ha?».
«E certo che ce l’ha», rispose Celiboni,
che oltre a non godere di una grande capacità intuitiva aveva anche
pochissima memoria, «solo che ora non mi viene. Ce l’ho sulla
punta della lingua da stamattina... ma non mi viene più, eppure è
un nome facile...».
«E nemmeno ti è venuto in mente di chiedergli
che tipo di professore era il vecchio proprietario di questa casa?».
«Ma perché? Che importanza ha sapere o non
sapere che materia insegnasse?».
«Be’, per esempio servirebbe a capire il
senso dei volumi stipati in questa libreria. Tu non dai mai
un’occhiata ai libri quando entri in una casa?».
«Perché, i libri che c’entrano?».
«Dicono
molto di una personalità. Le mie zie “signorine”, per esempio,
ci nascondevano i soldi, e avevano un notes segreto
in cui segnavano titolo, autore, pagina e taglio della banconota. Se
un ladro trovava il notes aveva
in mano la mappa del tesoro. Ma anche qui, se non soldi, si nasconde
qualcosa. Vedi? Niente libri di architettura, solo volumi su tre
argomenti: scacchi, parapsicologia e telepatia. Sarà per questo che
ho indovinato dove gli hanno fatto il funerale laico. Scommetto che
me lo ha suggerito lui».
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