Inizia oggi il blogtour organizzato da Fazi editore e dedicato al romanzo di Ian Manook: Yeruldegger - La morte nomade, nuovo capitolo dedicato al celebre personaggio. La mia tappa comprende un estratto del romanzo, da non perdere.
Tutta la valle dietro il crinale era dilaniata
da un caos immobile. Erwan v’intravide un campo di battaglia dalle
parti di Verdun, disseminato di crateri, devastato dalla pioggia di
granate di uno sbarramento di artiglieria. Yeruldelgger pensò a
qualcosa come le tane di mostri affamati intenti a cacciare prede
sotterranee. Tsetseg vi scorse le ferite profonde inferte alla sua
terra feconda da un esercito avido pronto a farla a pezzi per nulla.
«Sono i ninja», spiegò Ganbold in tono
giocoso raggiungendoli. «Erano ancora qui il mese scorso. Almeno
mille. Ma ora questa valle è una concessione di quella stronza della
società Colorado. Non è più possibile lavorarvi».
Il silenzio era peggiore delle devastazioni.
Yeruldelgger aveva già visto inchieste televisive su quei famosi
ninja. Branchi randagi di apprendisti cercatori d’oro, con la
bacinella sulla schiena. Una moltitudine rassegnata e industriosa,
ognuno che scavava, a pochi metri da migliaia di altri, pozzi di
fortuna lavando la terra per farne fango, estraendo l’oro per mezzo
del mercurio, setacciando le scorie, bruciando le pietre, fracassando
i ciottoli. Tutta quell’agitazione, tutta quella speranza
frenetica, lui l’aveva sentita. Non aveva invece immaginato quel
silenzio sul paesaggio devastato dopo la loro partenza. Sinistro. Un
silenzio sepolcrale, infinito e stagnante, una volta ringhiottita al
di là dell’orizzonte la risacca dei vivi. Ricevette la visione di
quella valle distrutta come un’aggressione, e come la conferma di
ciò che da molto tempo distillava in lui una profonda tristezza.
Ormai niente serviva più a niente. Come lottare contro tutto questo?
Come dominarlo? La maggior parte di quei ninja erano ex nomadi. Erano
vissuti fino a quel momento amando la steppa come la propria madre,
ed ecco che adesso la sventravano a colpi di pala, per un dollaro
d’oro al giorno, che gli veniva strappato da intermediari avidi per
rivenderlo a contrabbandieri cinesi.
«Cazzo, eppure si facevano le palle d’oro!»,
imprecò Ganbold, pieno di ammirazione. «Talvolta fino a quaranta
dollari al giorno. Mille al mese, vi rendete conto?».
Yeruldelgger si rendeva conto. Il triplo del
salario medio nei loro sogni di ricchezza, ma solo per tre mesi
d’estate. Una miseria per sfuggire alla miseria e, in cambio, tutta
quella terra esausta, distrutta, inutile. Non sarebbe cresciuto mai
più niente tra quelle erbe sterili, schiacciate sotto i rinterri,
bruciate dagli acidi e lavate dai ruscellamenti. Nessuna mandria vi
sarebbe più venuta a pascolare. I cavalli selvaggi si sarebbero
spezzati le zampe anteriori, con gli occhi folli di panico,
inciampando nelle pozzanghere sotto i temporali. E i lupi nauseati
non avrebbero nemmeno più osato divorare le loro carcasse ancora
vive, spaventati dalla crudeltà degli uomini verso la propria terra.
TRAMA: Sfiancato da anni di lotta inutile contro la criminalità, l’incorruttibile commissario Yeruldelgger ha lasciato la polizia di Ulan Bator. Piantata la sua yurta nell’immensità del deserto del Gobi, ha deciso di ritornare alle tradizioni dei suoi antenati. Ma il suo ritiro sarà breve. Due strani cavalieri lo coinvolgeranno, suo malgrado, in un’avventura ancora più sanguinosa del solito. Sventrata dalle pale meccaniche delle multinazionali, sfruttata dagli affaristi, rovinata dalla corruzione, la Mongolia dei nomadi e degli sciamani sembra aver venduto l’anima al diavolo. Dalle aride steppe al cuore di Manhattan, dal Canada all’Australia, Manook fa soffiare sul giallo un vento più nero e selvaggio che mai.
Commenti
Posta un commento